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Stati generali dell'arte e della formazione artistica contemporanea, l'intervento del sindaco Biondi: "La nostra città ha un'importante storia culturale di primo piano"

23/10/2019

Gli Stati Generali dell’arte e della formazione artistica contemporanea, che si sono svolti nello scorso fine settimana all’Accademia delle Belle arti dell’Aquila, sono stati un approfondimento necessario per una regione e una città che hanno saputo riconoscersi e sostenersi nel momento più doloroso e devastante del post terremoto.

Oggi, proprio da questo contesto, in nome della rinascita fisica e comunitaria, si ragiona per dare contenuto e significato a un progetto di ampio respiro culturale e di composizione di un percorso riconoscibile e di richiamo.

“Passato, presente e futuro” è stata la traccia della prima giornata di lavori. Bene, la nostra città ha una storia di avanguardia culturale importante, che prende le mosse nel dopoguerra per consolidarsi nei primi anni Sessanta.

Anni in cui L'Aquila subisce una serie di spoliazioni, tra le quali la Zecca di Stato e la sede regionale dell’Eiar (poi divenuta Rai).

Sembrano salvarla dal declino solo una tardiva industrializzazione - quello stabilimento Siemens, che arriverà a contare 5.000 addetti nel 1970 - e una intensa attività edilizia con quartieri privi di servizi.

In quell’epoca alcune menti visionarie quanto coraggiose - che Buccio di Ranallo avrebbe chiamato a pieno titolo li boni homini de Aquila - intuiscono le potenzialità del settore immateriale della cultura e della conoscenza.

L'Aquila inizia così a manifestare una forte vitalità culturale con la nascita del Gruppo Artisti Aquilani e nel 1946, per iniziativa di Nino Carloni, la Società dei Concerti Barattelli.

In quello stesso periodo, poi, prende forma il disegno di Vincenzo Rivera sull'università.

Dal 1950 in poi spuntano tante interessanti realtà artistiche come la Piccola Brigata, la Corale Gran Sasso, il Circolo Giovani Amici della Musica, l'Ente Aquilano per il Teatro e la Scuola di Cultura Drammatica.

Insomma, agli inizi degli anni sessanta all'Aquila esisteva già un humus che ne avrebbe fatto una capitale delle avanguardie e degli intellettuali in formazione.

Basti pensare alle rassegne di Alternative Attuali, con le quali l’Italia poté conoscere la pop-art americana e molti tra i protagonisti europei degli anni Sessanta.

Quando viene inaugurata, nell’estate del 1962 presso il Forte Spagnolo dell’Aquila, Alternative Attuali, si presenta come una manifestazione nuova nel panorama delle rassegne di arte contemporanea.

A coordinarla è un giovane critico romano non ancora trentenne, Enrico Crispolti, con le idee molto chiare sulla funzione del critico nel sistema delle arti.

Biennali e Quadriennali - osservava Crispolti - ma anche i numerosi premi che in Abruzzo avevano una tradizione piuttosto fiorente, radunando in ordine sparso opere di artisti viventi o retrospettive di maestri, non erano sufficienti a dare conto al pubblico dei mutamenti in atto.

Ed ecco la sua idea: far diventare una mostra, da kermesse variamente assortita, un vero e proprio atto-critico volto a sollecitare il dibattito.

Si trattava, quindi, di operare parallelamente su due fronti, l’organizzazione della mostra e il suo catalogo, per dare concretezza a quella che Crispolti stesso definirà una “mostra saggio”, ovvero una mostra che fosse portatrice di un pensiero critico reso visibile attraverso una scelta di opere e corredata da un adeguato apparato di testi e documenti necessari a una comprensione più profonda dell’argomento.

È in questo clima di fervore creativo e di visioni culturali innovative che nasce la straordinaria scommessa di creare all'Aquila un teatro a gestione pubblica.

nche in questo caso, prima che con l’atto notarile avvenuto il 28 ottobre del 1963, il Teatro Stabile dell’Aquila nasce nelle menti di tre intellettuali - Peppino Giampaola, Luciano Fabiani e Errico Centofanti - che antepongono, per il bene della città, il coraggio dell'utopia rispetto ad una visione di parte.

Interessante fu la scelta culturale del collettivo direzionale del Tsa "prima maniera", incentrata sul teatro dell'impegno, un teatro che facesse, innanzi tutto, pensare.

In un'Italia che si avviava verso il '68 fu, indubbiamente, una scelta che stimolava la riflessione su temi quali la legittimazione e l'esercizio del potere, il rapporto biunivoco società/arte e teatro/politica.

Altro elemento significativo è il processo di germinazione innescato dalle grandi istituzioni aquilane.

 Come già la Barattelli aveva prodotto la nascita del Conservatorio Casella, dei Solisti Aquilani e dell'Istituzione Sinfonica Abruzzese; così il Tsa diventa innesco per la nascita del Teatro Accademico dell’Università, dell'Accademia di Belle Arti, della cattedra universitaria di Storia del Teatro, del circuito teatrale regionale Atam, del Teatro Stabile d'Innovazione L'Uovo.

In quella fortunata stagione, Carmelo Bene - che interpreta e dirige per il Tsa La cena delle beffe, - è anche docente dell'Accademia di Belle Arti, della nostra Accademia di Belle Arti, dove insegnavano personalità come Achille Bonito Oliva, Alberto Arbasino, Sylvano Bussotti, Pietro Cascella, Fabio Mauri, Franco Ceroli.

Ricordiamo anche che, all’epoca, fra gli scenografi del Tsa c’erano Alberto Burri e Fulvio Muzi.

E sarà proprio Burri, nato medico e finito artista internazionale, a realizzare le sorprendenti scenografie e i costumi de L’avventura di un povero cristiano, scritto da Ignazio Silone e messo in scena dal Tsa nel 1969, con la regia di Valerio Zurlini.

Le scenografie di Burri furono un vero e proprio atto creativo, un evento nell’evento della messa in scena di un testo di Silone, su un personaggio innovativo nel proprio messaggio come Cestino V.

Le collaborazioni, oggi diremmo sinergie, tra le Istituzioni culturali erano un fatto all’epoca, non era necessario auspicarle, avvenivano.

E, questo, perché non c’era autoreferenzialità, arroccamento nel proprio ambito artistico. Le chiusure mentali e ideologiche passavano in secondo piano rispetto alla generosità intellettuale e progettuale.

Chi operava nelle istituzioni artistiche guardava alla crescita della città, alle possibilità che la cultura offriva per aprirsi verso altri mondi, per farsi conoscere e contaminare al di là dei confini geografici e amministrativi.

La memoria è la vita stessa. Pensiamo a chi è malato di forme degenerative del sistema nervoso. La loro memoria che si dissolve è una vita che non esiste.

Quindi, la memoria del nostro passato è fondamentale e, sopratutto dopo il 6 aprile 2009, riveste un ruolo di primaria importanza nella rinascita della città e del suo territorio e nel progetto del loro futuro.

Le nuove generazioni, secondo Hobsbawm, vivono “in una sorta di presente permanente” che non gli consente alcun legame significativo con il passato storico, di cui anche essi sono il risultato.

Il passato è l’indispensabile prodromo per parlare del presente e immaginare il futuro.

E il presente è una città dove il fermento culturale ci sovrasta e ci inebria. Subito dopo il terremoto sono nate delle interessanti realtà culturali di base che spaziano dal teatro al cinema, dalla musica alla danza, dalle arti figurative alla letteratura.

 L’Aquila è invasa di manifesti, i social di post che richiamano i più svariati corsi e laboratori: recitazione, dizione, danza, hip hop, pittura, i più svariati strumenti musicali, scrittura anche teatrale, ginnastica artistica, creazione di gioielli, creazione di borse e così via.

Ma anche cartelloni di stagioni alternative a quelle delle Istituzioni Fus, con proposte di ricerca e di nicchia che stanno riportando la città verso una dimensione di cultura militante, di fermento creativo che va sostenuto e incoraggiato.

Per questo ritengo fondamentale la battaglia per dare continuità al programma Restart, che destina parte di fondi del così detto 4% (la quota parte di risorse della ricostruzione destinate allo sviluppo economico) alla valorizzazione del patrimonio artistico e culturale del territorio.

Deve essere una battaglia delle istituzioni e di tutta la classe dirigente, non solo politica, un impegno che deve vederci tutti uniti e determinati affinché le istituzioni culturali, non solo quelle riconosciute dal Ministero, ma anche quelle minori possano contribuire al Rinascimento dell’Aquila.

E L’Aquila ha pieno titolo per questa rivendicazione se la Fondazione MAXXI ha scelto la nostra città per la terza edizione del Museum Booster Hack, 34 ore no-stop e un mix di competenze per progetti innovativi che utilizzano i linguaggi digitali per ripensare l’esperienza di visita, i servizi al pubblico e i processi organizzativi di un museo.

Giovanna Melandri, presidente della Fondazione MAXXI, ha definito L’Aquila una città con lo sguardo rivolto al futuro, luogo ideale per ospitare una iniziativa in cui le tecnologie più aggiornate si mettono al servizio dell’arte e della creatività.

Lo stesso spirito di MAXXI L’Aquila, che aprirà nel 2020 e che sarà una piattaforma di creatività culturale, aperta, condivisa, al servizio della rinascita della città.

Il mondo della cultura, per sua natura, è propenso a guardare innanzi tutto ai principi e non si sente obbligato alle responsabilità amministrative, a confrontarsi con la concretezza del quotidiano.

Bisogna riconoscere che all’Aquila, anche da questo punto di vista, siamo avanti. Con le istituzioni già citate - come anche con l’Università, il Conservatorio, la vostra Accademia, il Gran Sasso Science Institute - come amministrazione comunale abbiamo instaurato un rapporto di reciproca fiducia e collaborazione che, in questo decennale e oltre, trova nuove aperture e possibilità.

Pierluigi Biondi - Sindaco dell'Aquila

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