In occasione della presentazione del programma dell'Aquila Capitale della cultura 2026, una breve riflessione del sindaco Pierluigi Biondi.
Il mondo del futuro è aperto all’immaginazione, il mondo del passato è quello che ricostruisce l’identità, soprattutto se perduta. Nella scena finale di “Professione reporter” di Antonioni, si vede la camera che si avvicina lentamente verso un punto nero, quasi come se stesse osservando una fotografia in fase di sviluppo, un'immagine che emerge dal bianco e nero. L’Aquila capitale della cultura 2026 è come un’immagine che emerge dal bianco e dal nero e sarà lo sguardo dei cittadini e del pubblico che ne farà l’evento culminante della comunità rinata. La cultura rappresenta tutto ciò che le facoltà creatrici dell’uomo esprimono al massimo grado. L’Aquila capitale della cultura rappresenterà tutta la forza, la determinazione, la potenza progettuale e fattuale di una comunità che ha saputo interpretare il dolore attraverso la vita che non può che essere vissuta, tanto da tramutarsi in modello, etico e architettonico, di speranza e rinascita. L’Aquila, in questi anni, ha posto in essere un’azione di tutela e di rivendicazione della centralità della conoscenza, della scienza, della ricerca, dell’arte nelle sue molteplici manifestazioni, della storia, del pensiero filosofico e politico. Ha continuato a produrre - insieme ad altri piccoli e medi comuni come quelli dell’Appennino - attraverso la cultura e il sentimento di umanità, gli anticorpi per vivificare la speranza di un mondo in grado di perdonare e pacificare, come San Pietro Celestino ci insegna. “Era l’aprile del 1920, ed io, nato a Paganica, ma milanese allora di adozione e consuetudine di vita, tornai a rivedere il natio Abruzzo. Mi fermai due giorni all’Aquila; e, in quei giorni, battei in lungo e in largo la bella, ariosa e luminosa città, che alta sopra il suo poggio, ad oltre 700 metri sul mare, vede alle sue spalle e davanti levarsi i due giganti dell’Appennino, Gran Sasso e Majella, ed ai suoi piedi scorrere fra alti pioppi e salici l’Aterno, poi Pescara. Volevo, non tanto vedere le cose nuove, su pur ve ne erano, quanto rivedere le cose vecchie, rivederle con occhi di 40 o 45 anni, dopo che le avevo viste, spesso senza guardarle, con occhi di 8, di 10, di 12 anni. I ricordi dell’infanzia mi riportarono, prima che ad ogni altro luogo, alla mia impareggiabile S. Maria di Collemaggio […]. Assai familiare era a me quella chiesa, che si leva in solitudine fuori della città”. Come ci ricorda lo storico Gioacchino Volpe, L’Aquila è città di cultura anche perché bella, ariosa e luminosa. Maestosa per le sue montagne e magnifica per la sua storia e per l’incanto che raccontano la basilica di Collemaggio e la Perdonanza celestiniana.
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